Più il digitale permea la vita umana, più sono gli aspetti di essa che vengono esposti a nuovi rischi. Sembra una visione apocalittica, ma c’è un fondo di logica dietro. Sempre più oggetti e attività collegati a internet implicano una maggiore probabilità di malfunzionamenti e furti di dati.
In redazione riteniamo la trasparenza un valore cardine della nuova civiltà digitale, perché conoscere le cose aiuta a combattere la diffidenza. Ma più si conosce, più sorgono domande di etica e dubbi sul futuro di questa convivenza uomo-rete.
Pensiamo alle automobili ricche di connettività e sensori digitali, o alla quantità di informazioni personali che cediamo ai social network. Non siamo nuovi a storie di hacker che controllano i freni di un’auto a distanza, e i furti di enormi database sono più frequenti di quanto si sappia in giro. Disattenzioni che rischiano di esporre la vita umana a pericoli costanti.
La fiducia digitale è quindi diventata protagonista di dibattiti e opuscoli istituzionali, membro ufficiale del club delle parole chiave per una presentazione di cyber-security e internet of things. Ma cosa vuol dire esattamente fiducia digitale?
“La tua privacy è importante”
Prendiamo il termine fiducia digitale da un punto di vista più ampio: oltre a essere un obiettivo morale per le e-governance, è anche l’aspirazione di qualsiasi social network, marketer digitale e banner dei cookie in cui puoi inciampare navigando in internet.
Chi governa la rete e gestisce i dati vuole disperatamente fiducia. È fondamentale che l’utente si senta al sicuro e in controllo totale delle informazioni che divulga pubblicamente. Poco importa se poi si verificano scandali come Cambridge Analytica o traffici di dati come principale moneta di scambio digitale.
La fiducia fa stare sereni i clienti, contenti gli stakeholder e riposati gli amministratori delegati. Il problema è che questo senso di fiducia è basato su una parte dei problemi e risponde a una parte delle paure. Più si infittisce la rete, più è necessario che vengano aperti alla discussione pubblica gli elementi architetturali della sicurezza in rete.
Inconsapevoli colpevoli
Le strategie di digital trust, ovvero i servizi e le soluzioni che garantiscono confidenzialità, sicurezza, validità legale e giuridica degli scambi di informazioni, stanno facendo progressi costanti e vengono tenuti in gran considerazione.
Dal canto nostro, siamo consapevoli di cosa mettiamo in gioco? Facciamo qualcosa per tutelarci? Una prima strada potrebbe essere quella di rinunciare completamente a internet per qualsiasi trasmissione di dati sensibili: sicuro, ma estremamente scomodo e inefficiente, specialmente quando la tecnologia migliora l’assistenza medica e burocratica.
La seconda strada è avere fiducia in chi controlla i dati. Sperare che li sappiano proteggere e che le loro intenzioni siano buone. Già meglio, ma così continuiamo a lasciare la nostra tutela in mano altrui, delegando e dimenticando.
È quindi compito nostro, in quanto cittadini digitali, interessarci al problema, essere consapevoli e critici del funzionamento dei sistemi. Se loro si rafforzano, ma noi rimaniamo maldestri e ignoranti, ci sarà sempre una falla di sicurezza e non svilupperemo fiducia verso l’automazione e la transizione digitale.
[l’immagine di copertina è tratta da Lexica]