Noi esseri umani siamo estremamente facili all’usura: basta poco per rompere le nostre componenti, intaccare la nostra “custodia superficiale” è semplice oltre che doloroso, impieghiamo lungo tempo a ripararci, siamo attaccabili da virus, possiamo subire perdite di memoria irreparabili e tendiamo a una imprescindibile morte del sistema.
Forse proprio per tali ragioni ci è sembrato indispensabile circondarci di macchine e strumenti più resistenti ed efficaci di noi. Le abbiamo forgiate con metalli robusti e abbiamo provato a dar loro una coscienza attraverso sistemi informatici che nulla hanno da invidiare all’alchimia.
Eppure non siamo riusciti ancora a trovare la formula per la perfezione – se mai esiste – e spesso anche questi sistemi fanno fatica a resistere all’usura del tempo, agli attacchi esterni e a proteggere i dati che abbiamo conservato al loro interno.
Per dirla in modo romantico, che ormai suona meno futuristico di un tempo, stiamo tentando di migliorare la nostra cyber-resilienza.
Siamo facilmente attaccabili?
Questo tema è particolarmente caro alle aziende – che lavorano e processano infinità di dati ogni giorno – ma non è da trascurare anche in ambito privato.
Spesso, infatti, avvolti nella bambagia delle nostre certezze rimaniamo spiazzati e impotenti quando i nostri pc o il nostro telefono vengono attaccati da malware e ransomware. Questo tipo di minaccia mette in seria difficoltà il sistema dei nostri device. A volte l’attacco è risolvibile in pochi passaggi grazie agli antivirus, altre volte i nostri dati diventano ostaggio o merce di scambio per cui risulta necessario ricorrere a maniere più forti.
Per le aziende, comprese quelle della pubblica amministrazione, dovrebbe essere un punto focale investire per proteggere i dati degli utenti e garantire backup “cuscinetto” per correre ai ripari in caso di attacco informatico. Purtroppo non è quasi mai così.
La guerra dei cyborg?
No, niente libri di Asimov in questo caso. Stiamo parlando, invece, di uno dei più famosi attacchi informatici della storia, capace di mettere in crisi ben due governi.
In Iran c’è Natanz, una centrale nucleare che – tra le altre cose – lavora l’arricchimento dell’uranio. Bene, come la prendereste se vi dicessimo che gli Stati Uniti, nel 2010, con ogni probabilità progettarono e misero in azione un malware – chiamato STUXNET – con il compito di far impazzire le turbine che lavorano proprio l’uranio?
Inutile dire quanto il sistema di sicurezza informatica iraniano fosse obsoleto, basti pensare che STUXNET è arrivato nella centrale su una chiavetta USB!
Alla luce di ciò, quanto facilmente i nostri sistemi pubblici e privati sono intaccabili? Quali pericoli corriamo a livello mondiale a causa dell’obsolescenza proprio di questi sistemi?
Questioni di blackout
Quante volte è capitato di assistere o sentir parlare di black out dei servizi come Whatsapp o dei social? Anche in questo caso si tratta di una questione di cyber-resilienza.
Le strutture informatiche che i server devono reggere son sempre più complesse e più grandi. I nostri sistemi informatici non sono, però, ancora in grado di gestire grosse moli di informazioni, o almeno non quante ne vorremmo noi.
Ad esempio, quando molti utenti si collegano sulla stessa piattaforma o cercano in contemporanea di accedervi, ecco che il sistema non ne regge il peso e crolla.
Avvenimenti come questo possono causare ingenti perdite: di dati, di tempo ed economiche.
Saremo mai in grado di gestire in maniera ottimale i nostri dati? Come possiamo migliorare la nostra sicurezza? I sistemi digitali del futuro saranno a prova di attacco e di blackout?
Emilia Bifano