Gli NFT sembrano un’occasione d’oro per gli artisti emergenti che lavorano in digitale. Una comunità di appassionati e collezionisti ha dato vita a un mercato che muove milioni di dollari tra aste e “drop” a tiratura limitata. Siamo di fronte a un cambiamento radicale per la millenaria espressione artistica, oppure dobbiamo aspettarci l’ennesimo scoppio di una bolla speculativa?
I non-fungible token (“nifty” per gli amici, “ah, quella roba dei bitcoin” per alcuni, “eh?” per la nonna) sono un’applicazione della blockchain che consente di creare gettoni non reciprocamente intercambiabili. Al contrario dei gettoni usati per le criptovalute, gli NFT sono ottimi per registrare nelle blockchain la proprietà degli oggetti virtuali, come le opere d’arte.
Di fronte alla capacità di duplicazione illimitata di internet, questa tecnologia consente di possedere davvero un artefatto digitale e lo protegge da violazione della proprietà e del diritto d’autore. Tutto qui? Certo che no, siamo su internet. Ai vantaggi pratici degli NFT si accompagna una serie di episodi clamorosi che fanno da spartiacque tra un mondo e l’altro.
Big Bang Beeple
Non c’è modo migliore per capire come funziona il mercato dell’arte NFT che osservare all’opera Beeple, creatore digitale di immagini e video 3D.
A ottobre 2020 mette in vendita tre opere in .jpg al costo di 969 dollari l’una. Gli utenti della blockchain Ethereum hanno cinque minuti per riuscire a premere “acquista”, dopodiché l’opera non è più acquistabile. In quel fine settimana Beeple raccoglie circa quattro milioni di dollari. Non siamo neanche vicini alla fortuna che farà poco dopo.
Beeple (Mike Winkelmann) è l’artista digitale più conosciuto al mondo. Ha due milioni di follower su Instagram e da tredici anni pubblica un artwork digitale, statico o animato, ogni singolo giorno. Nel momento in cui scopre di poter racimolare milioni con le aste blockchain ha più di cinquemila lavori nell’hard disk di casa sua. Decide di venderli tutti insieme.
A breve distanza dal suo primo drop milionario, Everydays: The First 5000 Days viene battuto all’asta per settanta milioni di dollari dalla storica casa Christie’s. Primati su primati e una bella fortuna da parte.
Dalla base
La vendita di nifty non riguarda solo il lavoro di concetto degli artisti digitali. Jack Dorsey ha venduto il suo primo tweet per una manciata di milioni di euro. Se cerchi su Youtube “Charlie bit my finger” – uno dei meme più citati dagli storici del fenomeno – scoprirai che è stato rimosso per essere messo all’asta. Nyan Cat e altri cimeli internettiani subiscono la stessa sorte.
In un’intervista per Vice, l’artista DotPigeon spiega che per fare fortuna con gli NFT ha dovuto tenere conto della vera forza trascinante di internet: la fanbase. Dopo che il suo primo drop è andato male perché troppo distante dall’estetica per cui era apprezzato, ha iniziato a guadagnare facendo quello che piaceva ai suoi fan, ascoltandoli e interagendo con la comunità di collezionisti di NFT.
Quindi Beeple non è diventato milionario per caso. Per tredici anni ha creato e condiviso opere in creative commons, dando alla comunità un grande valore creativo che ha consolidato la sua reputazione. Gli NFT sono stati l’occasione giusta per trasformare questo capitale sociale in successo economico.
Ma la benevolenza dei fan non basta a spiegare perché una gif di gatto pixelato che lascia una scia arcobaleno o l’immagine di una testa di Pikachu marcescente vengano vendute per milioni di dollari. C’è qualcosa sotto che muove le leve profonde di internet e gioca sulla percezione della scarsità e della cultura dell’hype.
Per il meme
È improbabile che le migliaia di acquirenti un NFT di Beeple nell’ottobre 2020 siano tutte affascinate dal toro di Wall Street che viene cavalcato da un gettone bitcoin.
I collezionisti e gli investitori sono due razze che si mischiano facilmente quando c’è l’idea che un bene diventerà desiderabile e prezioso. Un’opera che Beeple ha venduto per 66,666 dollari è stata rivenduta poco dopo per sei milioni e seicentomila, per mantenere il satanico scherzo numerico.
Per un artista dev’essere inebriante sapere che così tante persone concorrono per avere uno dei tuoi lavori, ma è anche evidente che per molte di esse si tratta solo di business. Certo, diventare milionari rende meno importanti i dubbi sull’apprezzamento reale o speculativo.
Pop?
Nessuno sa ancora con chiarezza se quella degli NFT è una bolla speculativa oppure no. Da un lato le piattaforme di arte NFT si stanno specializzando: ce ne sono di curatoriali che detengono esclusività sulle opere e scelgono cosa vendere, ma anche di aperte e molto più generaliste.
Ci sono aste, edizioni limitate e trucchi per aumentare il senso di esclusività, come si addice ad ogni buon ambiente di collezionismo. Il mercato si sta strutturando e i curatori tradizionali potrebbero essere invogliati ad entrare in questo mondo con un vantaggio strategico, prima che si consolidi.
Sta anche nascendo un mercato fisico di supporti per riprodurre le opere acquistate: cornici di bell’aspetto con schermi dentro che restituiscono una sensazione fisica all’acquisto dell’opera.
La tecnologia NFT potrebbe essere una rivoluzione per l’accreditamento artistico, ma anche qualcosa destinato a sgonfiarsi e stabilizzarsi su cifre molto inferiori.
Leonardo da Chi?
A dimostrare il lato paradossale dei registri diffusi c’è un episodio del 2018 che riguarda il quadro più famoso al mondo.
Su Verisart (blockchain, di nuovo) è possibile registrare l’autore di un’opera d’arte in maniera inequivocabile, così che internet non possa generare falsi a destra e a manca. Terence Eden, impiegato del Government Digital Service britannico, ha provato per scherzo ad accreditarsi la Mona Lisa, riuscendoci.
Lui stesso ha denunciato scherzosamente il fatto, corretto rapidamente da Verisart stesso. Se con un quadro leggendario è facile notare l’errore, non è detto però sia così per quelli meno conosciuti.
In qualche angolo remoto di internet ci sarà sempre scritto che Terence Eden è stato l’autore della Gioconda, seppur per qualche ora.
Mio per server
Se un giorno gli alieni trovassero antichi resti della nostra civiltà, potrebbero riaccendere i server delle blockchain e farsi un’idea di chi possedesse cosa. Per l’arte significa vita eterna, per gli artisti digitali significa possibili milioni di dollari finché the next big thing non distoglierà gli occhi e i soldi del mondo.
Il bisogno di un sistema per tutelare l’acquisto di opere d’arte digitale era necessario, ma ci lascia con una serie di domande a cui solo il tempo saprà rispondere.
Se possiedo un’opera su un circuito blockchain, è veramente mia? E le copie che erano in giro da prima, su computer e server che non fanno parte della catena? Potremo vendere qualsiasi avvenimento digitale come un memorabilia di internet? Le blockchain diventeranno musei decentralizzati della nostra civiltà?
[immagine collage di IA art da Lexica]