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La tecnologia digitale diventa sempre più influente sul nostro mondo. Gli stati nazionali sono attirati dalle capacità dei giganti della rete, tanto da integrare i loro servizi nelle strutture pubbliche e statali. Arriveremo mai a un punto in cui questa accumulazione di potere si tradurrà nella nascita di stati privati?

Il termine “stati privati” può certamente lasciare un po’ perplessi: a colpo d’occhio sembra evocare teorie del complotto, dietrologie galoppanti e l’idea che ogni nostra mossa vada ad arricchire le big del mondo digitale. 

Non è ancora il momento di correre a metterci un elmetto di stagnola e gridare alla cospirazione. Aziende così potenti da avere propri confini parastatali sono sempre esistite, emergendo nei momenti in cui l’innovazione e le scoperte cambiano gli equilibri mondiali. Le corporazioni medioevali e le compagnie del commercio dell’era coloniale sono due ottimi esempi.

Il problema si manifesta quando i prodotti e servizi di un’azienda diventano così allettanti da far sì che il mondo intero le dia retta. L’AGCOM (L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) chiama queste aziende “Over-the-top”, ovvero sopra le righe. Ironicamente, non lo fa per complimentarsi del loro talento commerciale.

Sopra le righe

Streaming ed e-commerce sono di certo servizi efficienti che hanno sbaragliato la concorrenza analogica, ma la nomea over-the-top di queste aziende ha tutt’altro significato.

Internet ha consentito la nascita di imprese enormi che, ancor più di un tempo, sfuggono alle logiche geografiche e giuridiche per come le conosciamo noi. Si tratta di  un enorme grattacapo che tiene impegnati governi e agenzie di controllo nel tentativo di tenere a bada gli effetti di questo mercato.

Andrea Venanzoni, nel suo articolo “Neofeudalesimo digitale: Internet e l’emersione degli Stati privati” spiega molto bene questa costante tensione tra dottrina giuridica, spazio geografico e colossi della rete, appunto, sopra le righe.

La tendenza delle strutture nazionali a perdere importanza trova radici nella globalizzazione: le economie nazionali, dice Venanzoni, diventano sempre più simili a confederazioni informali di economie regionali, perdendo potere decisionale nei rapporti di potere.

Aiutato dalla nascita di internet e dalle sue caratteristiche, si crea dunque un sistema-mondo soggetto a mutamenti, declini, fragilità ed obsolescenze, regolato dagli interessi delle grandi aziende che detengono i nuovi mezzi di produzione digitali. Il panorama cambia, i confini mutano e diventano quelli dell’agire dei giganti della rete, sopra le righe delle cartine geografiche che conosciamo.

Iper-territori

L’impotenza degli stati nazionali di tutelare e rappresentare i cittadini non è quindi solo una debolezza verso le meraviglie digitali che queste aziende consentono. Nel momento in cui prende vita questo iper-territorio, le norme giuridiche basate sul concetto stesso di territorialità perdono il loro mordente e viene scardinata una struttura secolare di regolamentazione.

È proprio Venanzoni a utilizzare “territorio” al posto di “luogo” per sottolineare l’impatto sul diritto di questi nuovi equilibri. Un termine molto utile anche a noi per cogliere la portata dell’azione di questi nuovi stati privati, regolati da logiche con cui fatichiamo a tenere il passo.

Il digitale ha creato una sua dimensione con luoghi di accentramento del potere e delle risorse, ma non si è fermato lì. I nodi virtuali influenzano e modificano lo spazio fisico; il codice informatico ha effetti sull’ambiente che ci circonda, sottraendolo alla tutela delle leggi nazionali e sottoponendolo a leggi nuove tutte sue.

I confini geografici sono una necessità di delimitare l’agire politico e sociale di un governo. Secondo Laurence Lessig, nel digitale code-is-law. Venanzoni conclude che, allora, dobbiamo anche ammettere che code-is-space. Stiamo facendo del nostro meglio per tutelarci?

Intelligenza aperta

Facciamo un esempio non perfetto, ma che proprio per questo ci costringe a ragionare. 

Open AI possiede il GPT-3, una I.A. che genera testi in linguaggio umano molto convincenti. Fino al 2020 aveva promesso che sarebbe rimasta sempre pubblica: chiunque può sviluppare comunicazioni artificiali di grande qualità, con enormi ricadute sul mondo dell’editoria online, dell’assistenza clienti e della conoscenza in senso ampio. Non sarà scenografico come Amazon che consegna coi droni, ma era un’enorme ricchezza condivisa, alla portata di tutti.

Dall’anno scorso, però, Open AI ha deciso di essere molto meno open: il codice è stato comprato da Microsoft e adesso, il colosso informatico è l’unico a poter leggere come funziona. Agli altri resta la possibilità di usare le API, ovvero pacchetti di codice che funzionano grazie a quello privato.

Nessuno può impedire a Microsoft di offrire abbastanza soldi affinché i buoni propositi di Open AI cedano sotto il peso di una grossa transazione bancaria. 

Un nuovo feudalesimo?

Open AI e la sua intelligenza artificiale sono un esempio di come in pochi mesi possa cambiare il futuro della conoscenza grazie al potere di un singolo gigante digitale.

A oggi non è chiaro come possiamo impedire, o perlomeno scoraggiare, i tentativi dei potenti della rete di comprare qualsiasi strumento utile alla vita comune per controllarlo e trarne profitto.

Quello che è invece chiaro è la ridefinizione ormai in atto delle logiche geografiche a opera di quelle digitali. Se un nuovo sistema-mondo è ormai evidente, è meno evidente che questa direzione porta verso nuovi stati-privati, magari poco evidenti ma dall’influenza enorme. Siamo pronti alle conseguenze? Possiamo fare qualcosa per evitare il feudalesimo digitale?

Autore: Matteo Bodra

 

 

 

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