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“Trasformazione digitale” sembra qualcosa che potrebbe gridare un robot prima di entrare nel matrix per azzuffarsi con dei mostri giganti. Invece riguarda cose ben più mondane. Siamo pronti a trasformare la realtà in una sua versione sempre più digitalizzata?

La risposta breve, che può venire a chiunque abbia avuto bisogno di internet su un treno regionale in mezzo alle gallerie è: no. 

Se cerchiamo una risposta più lunga di una sillaba, dobbiamo tenere conto di molti altri aspetti. Ad esempio, il fatto che con la pandemia la trasformazione digitale ha avuto una brusca accelerazione, che lo volessimo o meno. 

Siamo indietro

Una cosa è certa: sull’integrazione di tecnologie e ambienti digitali efficienti e diffusi siamo un Paese molto arretrato. Basti pensare che solo il 36% delle linee internet in Italia supera i 100mbps. 

Le altre sono connessioni meno performanti che possono generare lentezza e frustrazione. Immaginate se dovessimo chiuderci in casa, con una sola linea di supporto per videocall di lavoro e didattica a distanza. Forse non avete nemmeno bisogno di immaginarlo.

Le identità SPID, l’attuale (macchinoso) metodo per avere un contatto digitale con la pubblica amministrazione, ammontano a 30 milioni. Buon risultato, ma è ancora solo metà del paese.

Allo stesso modo, l’indicatore di e-government (utenti registrati ai servizi, disponibilità di dati open source, moduli pre-compilati, quantità e completezza dei servizi) registra livelli tra i più bassi in Europa, al penultimo posto.

In caso di emergenza

Il 2020 ha messo a dura prova le infrastrutture digitali italiane, ma ha anche mostrato che forse non siamo così lontani da questo cambiamento. 

L’impossibilità di recarsi negli uffici e agli sportelli ha fatto sì che cercassimo alternative telematiche per erogare bonus e rimborsi: questo ha generato un grande incremento delle identità SPID e una progressione, benché non sufficiente, nell’offerta di servizi digitali al cittadino e alle imprese.

Gli operatori di telefonia, l’industria dei videogiochi e di fornitori di servizi internet hanno visto duplicare e a volte quadruplicare le richieste e il traffico dei dati. Abbiamo osservato un cambiamento inedito della nostra vita e, di conseguenza, delle attività che ne hanno occupato la maggior parte del tempo.

E in futuro?

I risultati ottenuti in pochi mesi mostrano che, seppur in ritardo, il cambiamento della pubblica amministrazione è possibile e offre numerosi vantaggi.

Oltre alle implicazioni morali, di sicurezza dei dati e sulla privacy dei cittadini, si presentano però alcune sfide al compimento di questo processo.

In primo luogo bisogna lavorare secondo il principio “once only” di condivisione dei dati tra le pubbliche amministrazioni. Un modello cittadino-centrico sarebbe forse migliore perché consentirebbe diversi account funzionali per la stessa persona, non immediatamente collegati e, quindi, meno vulnerabili.

Per poter infatti considerare il ricorso ai servizi telematici non come un’alternativa elitaria, ma come un mezzo a disposizione di chiunque, occorre fare sì che diventino un’espressione concreta di cittadinanza digitale, sia nella sicurezza che nell’accessibilità.

Forse non siamo ancora pronti a vivere appieno la nostra cittadinanza digitale; fibra ottica carente e mancanza di architetture informatiche lungimiranti e rispettose dei diritti umani sembrano mostrare il lato debole di un cambiamento inaspettato e frettoloso.

Stiamo parlando di qualcosa di inevitabile, perché la fine dell’emergenza covid non segnerà la fine della trasformazione digitale in atto.

È importante preparare tutele e sistemi solidi, in modo da non doverci affrettare al prossimo momento di grande necessità. Almeno, finché siamo in tempo.

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