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Legge sulla privacy, consenso all’utilizzo dei dati personali; “la tua privacy per noi è importante”, cookie di terze parti e cookie strettamente necessari. Se leggendo queste parole hai un fastidioso deja vù, sei in buona compagnia. La privacy è un concetto meraviglioso e non lasceremo a un banner informativo il piacere di rovinarlo.

È inutile girarci attorno: internet è un sistema tenuto in piedi dai dati personali degli utenti. Sviluppare software, applicazioni e infrastrutture costa. Bisogna pagare informatici, manutentori, esperti di marketing; la lista è lunga.

Salvo rare eccezioni, in cui finanziamenti ed etica informatica sono l’unica benzina che spinge avanti i progetti, la raccolta e vendita dei dati di navigazione degli utenti è la valuta di cambio del mondo digitale.

Ci sono diversi modi di raccogliere queste informazioni: uno dei più comuni è il cookie, che tutti noi abbiamo imparato ad ignorare negli onnipresenti banner alla prima visita su un sito. Grazie al nostro consenso o diniego, il sito web può annotare informazioni su di noi, scambiandole col nostro computer tramite i cookie.

Tutte queste informazioni sono preziosissime per aziende e inserzionisti perché consentono di delineare gli interessi di ogni singolo utente, inserendolo in gruppi sovrapponibili. 

In questo modo è possibile proporre prodotti e servizi a cui la persona è più facilmente interessata.

Informazioni utili

La descrizione appena fatta dell’utilizzo dei dati può sembrare innocente. Che male c’è nel ricevere consigli per l’acquisto più precisi? Le implicazioni però sono molte, se teniamo conto che lo shopping non è l’unico campo in cui questa logica viene applicata.

La profilazione dei dati viene usata anche per previsioni politiche, di comportamento, di gusto: riguarda ogni aspetto del nostro agire digitale e comporta una disparità di conoscenza enorme. Noi possiamo conoscere quello che ci viene proposto navigando, ma quello che facciamo sapere di noi ai detentori dei dati va oltre la nostra comprensione.

Qui entra in gioco il vero conflitto con la privacy. Google ha dichiarato che non utilizzerà più i cookie di terze parti, e Facebook mostra coi fatti che la tutela dei dati sensibili è dovuta alle pressioni sociali che subisce. In entrambi i casi, è molto probabile che si troveranno metodi di profilazione diversi.

Finché internet sarà basato su un consenso all’uso dei nostri dati deviato e opaco, il profitto non può che rimanere l’obiettivo finale dei colossi digitali.

Nudi in pubblico

I rapporti di potere che si creano ci lasciano nudi agli occhi di un osservatore esterno. Abbiamo l’impressione di essere tra pari, ma i risultati delle nostre ricerche sono frutto di attenta analisi di come siamo e di come ci comportiamo.

È importante tenere conto della privacy in quanto disciplina che regola il rapporto tra persona, tecnica e società, come sintetizzato da Federica Resta in un articolo per CheFare sull’importante lavoro di Stefano Rodotà a tutela della riservatezza.

Il rifiuto dell’ideologia di un uomo di vetro e il diritto ad una costruzione del sé che non sia influenzata da misteriosi algoritmi inaccessibili sono i punti di partenza su cui strutturare una partecipazione informata dell’uso del digitale nel quotidiano.

La recente gestione della crisi sanitaria ha mostrato gli effetti di decisioni frettolose dettate dall’emergenza. Digitalizzando i servizi sanitari e della pubblica amministrazione, non bisogna trascurare la tutela dei dati sensibili coinvolti.

Siamo pronti?

In primo luogo dovremmo chiedere a milioni di cittadini non esperti di condividere le proprie informazioni sensibili, ad esempio mediche, attraverso siti istituzionali farraginosi e basati su tecnologie obsolete.

L’Alan Turing institute ha segnalato che la gestione britannica delle strutture sanitarie, durante l’emergenza covid, prevedeva l’utilizzo di QR code da scannerizzare, nonché app e siti su cui inserire dati, aprendo la strada a possibili vulnerabilità informatiche.

Questo esempio mostra una serie di potenziali vulnerabilità informatiche e sociali: non tutti sono avvezzi a scaricare una app, cosa che potrebbe bloccare alcuni cittadini dal contribuire alla prevenzione del contagio; QR code e siti devono essere protetti da crittografia, altrimenti sarebbe possibile sostituire quelli originali con delle copie per rubare migliaia di dati sensibili. 

In più, abituare i cittadini a cedere informazioni riservate a siti senza verificarne l’autenticità comporta un rischio culturale sul lungo periodo. 

Partecipazione pubblica e privacy

Le emergenze non sono buoni momenti per riflettere sugli effetti collaterali dell’agire d’impulso. Dobbiamo parlare della privacy anche nei momenti di calma, come diritto all’intangibilità interiore di ognuno di noi. 

Perché ciò accada, potrebbe essere necessario ripensare la gestione della privacy, ponendola al centro di uno scambio consapevole: la cessione di alcune informazioni porta una serie di benefici, ma in un rapporto rispettoso, egualitario e trasparente, invece che dettato da logiche di mercato, o istituzionali, che risultano esterne e opache.

Riusciremo a costruire sistemi che non violino e condizionino in maniera profonda la formazione del sé? L’informazione e la consapevolezza possono plasmare l’infrastruttura del domani?

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