Ho sempre apprezzato i libri e le pellicole di fantascienza, soprattutto quelle di qualche anno fa che si sforzavano di immaginare il mondo che noi oggi viviamo. In alcuni casi, bisogna riconoscerlo, non ci sono andati neanche troppo lontani.
Capolavoro assoluto del genere è quello che ci ha regalato la BBC, a partire dagli anni ‘60, con l’iconica serie Doctor Who. Per riassumerla in breve: c’è un alieno a due cuori – all’apparenza dall’aspetto del tutto uguale a quello umano – di cui nessuno conosce il nome, ma solo l’epiteto (il Dottore, appunto). Si muove tra tempo e spazio con una navicella (chiamata TARDIS) che è del tutto identica a una cabina telefonica della polizia come si usavano una volta in Inghilterra.
Doctor Who incontra (e spesso si scontra) con alieni, robot, cyborg e androidi che se all’inizio sembrano distanti dal nostro modo di agire, con il trascorrere delle puntate appaiono sempre più simili a noi umani. Data la longevità della serie e gli effetti speciali datati, questi esseri oggi fanno quasi sorridere.
In molte opere le AI sono state immaginate e descritte come assolutamente affini agli umani: non perfette, fredde e invincibili – come è facile credere -, ma in grado di sbagliare, amare, emozionarsi, avere pietà e sognare. Del resto è una tendenza molto antica quella di voler creare altri esseri viventi a propria immagine e somiglianza…
Come noi o meglio di noi?
Le intelligenze artificiali a cui la scienza sta lavorando sono in grado di provare emozioni, essere creative e sviluppare un pensiero critico e non solo analitico?
Rispondere a questa domanda non è semplice. Sicuramente in diversi casi ci si sta muovendo in questa direzione, ma con molta, moltissima cautela. La più grande paura, a proposito di AI, è che macchine senzienti e supercomputer dall’intelligenza pressoché illimitata siano in grado presto di eguagliare, e poi superare, le capacità dell’uomo. Al momento è abbastanza improbabile che questo accada, per una serie di motivi, come abbiamo analizzato e approfondito nell’articolo “Più umano dell’umano”.
C’è, però, un avvenimento che forse vale comunque la pena raccontare.
Nel 2017 la comunità scientifica ha assistito a quella che poteva essere la prima conversazione, totalmente autonoma, tra due robot. Durante un esperimento tenuto da Facebook, due robot hanno iniziato a dialogare in una lingua diversa da quella programmata e da qualunque altra utilizzata dal genere umano. I ricercatori hanno così deciso di spegnere le macchine e interrompere immediatamente l’esperimento.
Successivamente è stato dichiarato che lo strano codice altro non era che un errore di programmazione, ma il polverone che ne è derivato ben testimonia che le paure espresse dalla fantascienza nel ventesimo secolo sono ancora ben radicate in noi.
Con i dati si può fare arte
Cosa accadrebbe se un giorno scoprissimo che Van Gogh altro non era che un cyborg di enorme ingegno e talento?
La creatività è una di quelle abilità innate dell’uomo che, in qualche modo, gli studiosi stanno cercando di riprodurre con le intelligenze artificiali. Il binomio talento artistico e digitale è tale solo da pochi anni: inizialmente le AI erano in grado di realizzare solo riproduzioni di determinate immagini che i programmatori gestivano (o insegnavano loro) attraverso sequenze di codice.
Un esempio italiano è quello dei droni che fanno “street art” progettati dallo Studio di Innovation Design Torinese e dall’italiano Carlo Ratti, professore al MIT (Massachussets Institute of Technology): attraverso un’app progettata ad hoc, i droni possono essere pilotati e guidati nella creazione di opere d’arte sui muri abbandonati delle città!
Ma la scienza non si è fermata qui: con la sua faccia in silicone, il rossetto, la voce femminile e le mani robotiche che stringono una matita, Ai-Da è il primo artista robotico ultra realistico al mondo. Attraverso le due telecamere posizionate al posto degli occhi, questo androide riesce a disegnare ciò che vede nel mondo reale, con la straordinaria capacità di interpretarlo “a suo gusto”. Ha realizzato anche diversi ritratti e autoritratti, frutto di incredibili variazioni dell’algoritmo gestite dalle università di Oxford e Leeds. Ma Ai-Da è anche un’artista performativa e ha tenuto persino un TEDx Talk!
Ultimamente abbiamo assistito all’esplosione della AI art ad opera di intelligenze artificiali come ad esempio CloudPainter, Dall-E e Lexica (da cui proviene questa immagine di copertina), capaci di realizzare opere d’arte originali e prendere decisioni creative.
Man mano che i loro database crescono grazie al machine learning, le loro competenze migliorano e i dipinti si perfezionano. La precisione di apprendimento delle tecniche è sorprendente: queste IA riescono a riprodurre gli stili e le pennellate dei più grandi artisti, ma anche a re-interpretarli (come ha già fatto con i lavori di Cézanne).
Sembra tutto incredibile, ma è assolutamente vero.
Nel guardare i dipinti realizzati dai robot rischiamo comunque di essere “vittima della sindrome di Stendhal” come accade per impressionati opere realizzate dall’uomo, ad esempio, con la Cappella Sistina di Michelangelo? Non è una cosa da escludere a priori, anche perché in molti casi non saremmo effettivamente in grado di distinguere il lavoro umano da quello della macchina!
Quale sarà il futuro dell’arte grazie alle nuove scoperte digitali? Creeremo macchine in grado di essere, in tutto e per tutto, uguali agli uomini? L’arte realizzata attraverso “i dati” ha la stessa potenza espressiva ed emozionale di quella umana?